Ticonzero non pubblica poesia, se non di critica letteraria, ma questa è un’eccezione, non solo per la bellezza delle immagini evocate, per l’andamento del ritmo, per l’emozione suscitata dalla sua lettura: ad alta voce, si raccomanda, come si faceva una volta. Alla base di Ticonzero c’è l’idea di un post umanesimo, in grado di coniugare il rinnovamento delle idee morali, della visione del mondo, con un approccio naturalistico alla realtà. L’emozione della scienza e la scienza delle emozioni - così si potrebbero definire la poesia e la letteratura in generale – che si fondono in una nuova armonia di libertà e di bellezza. Si può partire da una legge della termodinamica, come fa Daniela Piegai, per dipingere un affresco della vita e del mondo che rotolano verso l’ineluttabile, cieca e sorda dissoluzione universale, mentre intorno danzano figure di vita quotidiana e l’intero atlante celeste. Una versione contemporanea dell'antica lotta tra il Fato e gli umani: una versione cosciente del mondo come è davvero e non nel mito. Eppure, al fondo di questa “osteria dello strazio” l’ordine locale della vita brilla come "una fragile malia", come una poesia che si riflette nello stesso dio dell’entropia, anche lui sottoposto a una vicenda cosmica la cui esegesi ancora non ci è dato conoscere. O forse è lui stesso, nonostante tutto, all'origine della vita. |
Daniela Piegai
Ballata per risate e tamburo all’osteria dello strazio
Il dio cieco dell’entropia
governa gli eventi
come pianeti in collisione,
come stelle cadenti.
Il dio sordo dell’entropia
canta una canzone acerba
e dirige l’orchestra dei cani
senza bacchetta e senza mani.
Il dio muto dell’entropia
spalanca la bocca d’erba
in un sorriso senza denti
e mette in fila i numeri
per la lotteria dei perdenti.
Il dio morto dell’entropia
riempie le culle
e programma i cimiteri:
disperazione di domani,
e incoscienza di ieri.
Battono i piedi a tempo
i guerrieri del caos
e guida la danza macabra
il dio dell’entropia
mentre crescono forti
i semi di follia.
Semi piantati con chiodi
di ferro e ruggine rossa,
semi di guerra e riscossa.
Alza le vele nere
e piange, senza occhi, piano,
il dio dell’entropia
sulla sua nave sghemba
priva di compagnia.
E di notte non sogna
il dio dell’entropia
ma nel buio stregato
spezza e divora la luna
e uccide la magia.
Ti afferra senza braccia
il dio dell’entropia
e danza senza faccia
mentre ti porta via.
Va a caccia anche stanotte
il dio dell’entropia,
le stelle sono rotte
come bicchieri d’osteria.
I generali tentano
tattica e strategia
e aumentano i soldati
del dio dell’entropia.
in alto i corvi volano
sopra battaglie vuote
e risuona il ruggito
più forte del dolore
del dio dell’entropia
che ti distorce il cuore.
Binocoli incrinati
per attori di polvere,
immagini sbilenche
prive di simmetria,
giganti della montagna
del dio dell’entropia.
Uno, nessuno, e forse
centomila ubriachi,
che sui tavoli opachi
descrivono col vino
una sporca poesia
e ne consumano i versi,
ma non è ancora sazio
il dio dell’entropia
all’osteria dello strazio.
S’alza odore di porpora
e un tintinnare giallo,
parole piene d’acqua
gorgogliano corallo:
respira l’idiozia
nella corsa ad ostacoli
del dio dell’entropia.
E la danza continua
al ritmo del tamburo:
gira, rotea, volteggia,
alza a tempo le braccia
perché si arrenda l’incendio
che ti minaccia,
l’incendio che brucia l’anima
con fiamme di pazzia
appiccato alla nascita
dal dio dell’entropia.
E le chitarre stupide
balbettano allegria
alla corte frenetica
del dio dell’entropia.
Eppure leggera,
come i vezzi di un bambino,
come l’olio nel mare
o il rimorso del destino,
brilla iridescente
una fragile malia
riflessa nelle lacrime
del dio dell’entropia.
29 gennaio 2012